VALORE O ETICHETTA? QUANDO 10 MILIONI NON FANNO UN CAMPIONE

Il caso Colombo e la lezione per i tifosi: meglio investire su talento vero che sull’hype da vetrina

Nel mondo del calcio moderno, spesso si cade nell’equazione semplice: più costa un giocatore, più vale. Ma è davvero così? La risposta, a giudicare da tante operazioni di mercato (anche recenti), è più complicata.

Prendiamo ad esempio Lorenzo Colombo: attaccante classe 2002, scuola Milan, talento indiscusso in gioventù ma ancora lontano dall’essere un bomber di categoria. Dopo una stagione non entusiasmante al Monza, oggi è a un passo dal Genoa, con un’operazione da 10 milioni di euro complessivi tra prestito, riscatto e bonus.

Dieci milioni. Una cifra importante, quasi da titolare inamovibile. Ma Colombo, al netto di qualche buona prestazione, ha dimostrato davvero di valere tutto questo? La risposta più onesta è: non ancora.

Eppure, c’è chi storce il naso davanti a nomi meno altisonanti, magari provenienti da leghe estere o squadre meno conosciute, ma che costano “solo” 3 o 4 milioni. Come se il prezzo determinasse automaticamente il rendimento.

La verità è che nel calcio moderno si pagano più le aspettative che i fatti. Un talento sconosciuto ma ben osservato può rendere più di un calciatore che ha un passato da promessa e un’etichetta costruita.

Il Lecce, da questo punto di vista, ha spesso lavorato bene. Con budget limitati ha scovato profili che, con fiducia e lavoro, hanno dato più di chi era stato pagato a peso d’oro da altri club.

Spendere tanto non è garanzia di qualità. Serve competenza, visione e soprattutto la capacità di guardare oltre il nome. E anche noi tifosi dobbiamo fare uno sforzo: imparare a fidarci del progetto tecnico e non solo del cartellino.